"Acciaio", de Silvia Avallone
Acciaio (Acier) est le surprenant premier roman d'une jeune auteure italienne de 25 ans, Silvia Avallone. Suprenant car ce roman puissant qui captive le lecteur de la première à la dernière page sans jamais faiblir n'a rien de véritablement neuf. Il raconte en effet une histoire de manière chronologique et du point de vue d'un narrateur extérieur omniscient, et il semble s'inscrire, tant par le cadre dans lequel il se déroule que par certains aspects de son style, dans la lignée d'un Zola : une sorte de Germinal ou d'Assommoir du XXIème siècle !
C'est l'histoire d' une amitié entre deux jeunes filles de treize / quatorze ans qui s'effondre brutalement quand l'une d'entre elle devient femme. Un récit initiatique décrivant le passage du monde de l'adolescence à celui des adultes, quand les rêves de fuite et l'espérance en l'avenir se transforment en désillusions et en résignation.
Acciaio a pour décor Piombino – où l'auteure a vécu quelques années -, une ville de Toscane proche de la mer vivant du complexe sidérurgique de la Lucchini. Mais sa rue principale, la via Stalingrado, purement fictive, montre bien qu'elle représente toutes les cités industrielles d'Italie, toutes ces banlieues sordides aux logements ouvriers de béton dégradé où s'entassent dans la promiscuité des populations démunies. Un environnement marqué par le bruit et la pollution, la misère et la violence, la prostitution et la drogue, les arnaques en tout genre et les pénibles conditions de travail qui se soldent par de nombreux accidents. Un monde dur où les enfants grandissent trop vite et les adultes vieillissent précocement, avec comme seules distractions la plage/cloaque jonchée de détritus ou la discothèque du samedi soir, comme seuls rêves le monde télévisé de Berlusconi ou celui des riches touristes envahissant les plages de sable blanc de l'île d'Elbe qui scintille à l'horizon comme un paradis inaccessible.
Silvia Avalonne possède un grand talent de conteuse.
Elle sait donner de la vie à son récit et de la chair à ses nombreux personnages. Elle restitue en peu de mots, par des détails bien choisis, la réalité de la vie quotidienne et saisit rapidement les sensations et les sentiments avec un sens aigu de l'observation et une écriture vigoureuse empruntant de nombreux éléments à la langue populaire et à l'argot des jeunes.
Elle montre de l'empathie pour ces humbles gens et donne ainsi beaucoup d'humanité à son roman. Et, surtout, elle parvient à magnifier cet univers prosaïque grâce au lyrisme d'un style qui en fait jaillir la beauté : un style poétique recourant à des images fortes jouant sur les parallèles, les contrastes et les symboles.
Silvia Avallone fait également preuve d'une maîtrise étonnante dans la narration. Elle aime donner un rythme en reprenant des phrases et des images qui scandent son récit et le font avancer en unifiant ses divers éléments. Elle prépare ses effets en annonçant, en présageant une suite inéluctable ou, au contraire, en différant ses informations, en les délivrant de manière progressive et indirecte pour entretenir le suspense. Et elle a l'art de commencer et de terminer ses scènes, ses parties, son livre aussi, par des images marquantes.
Silvia Avallone est diplomée de philosophie et vit actuellement à Bologne. Elle a déjà publié un recueil de poèmes , Il libro dei ventanni ( 2007) et plusieurs nouvelles dans des revues.
(réédité le 08/09/2010)
Son roman Acciao, retenu dans la sélection finale du prestigieux premio Strega - l'équivalent du prix Goncourt en Italie - a été devancé de quelques voix par Canale Mussolini d'Antonio Pennacchi. Il obtient un gros succès en librairie en Italie et est actuellement en cours de traduction.
Acciaio, Silvia Avallone, Rizzoli, janvier 2010, 361 p.
Réédité le 16/09/10
Comme j'aime bien que l'on confronte les lectures - et que ces dernières sont toujours très subjectives - je vous donne le lien vers un article intitulé "Acciao, chef-d'oeuvre ... de nullité" d'une blogueuse - et sur un blog - que j'apprécie beaucoup :
http://lagiravolta.unblog.fr/2010/07/02/acciaio-chef-doeuvrede-nullite/
EXTRAITS :
p.19/20
(...)
Anna e Francesca, tredici anni quasi quatordici. La mora e la bionda. Laggiù, in mezzo a tutti quei maschi, quegli occhi, quei corpi, che nell'acqua retrocedevano allo stato indifferenziato, di corpo muto ed entusiasta. Giocavano a rubare il pallone, proprio quando un ragazzo lo stava per calciare in porta. Una porta fatta con due pali di legno conficcati nel bagnasciuga. E una fiammata che vuole affermare il gol.
Correvano nella folla, si voltavano a guardarsi, si prendevano per mano. Sapevano di avere la natura dalla loro parte, sapevano che era una forza. Perché in certi ambienti, per una ragazza, conta solo essere bella. E se sei una sfigata, non fai vita. Se i ragazzi non scrivono sui piloni del cortile il tuo nome e non ti infilano bigliettini soto la porta, non sei nessuno. A tredicci anni vuoi già morire.
Anna e Francesca schizzavano sorrisi di qua e di là. Nino, che se le portava a calvalcioni sulle spalle, sentiva il loro sesso caldo dietro la nuca. Massimo, prima di scaraventarle in acqua, le assediava con il solletico e i morsi. Davanti a tutti. E loro si facevano fare tutto dal primo che passa, senza il minimo scrupulo, senza la minima cognizione. Così, con il mondo a portata di mano, alla faccia di chi restava a guardare.
Ma non erano le sole, a provare certe cose nuove nel corpo. Anche le sfigate, le racchie come Lisa rintanata nel suo asciugamano, avrebbero voluto rotolarsi sul bagnasciuga davanti a tutti e correre a perdifiato nell'acqua.
Nella corsa di Anna e Francesca, che urtavano braccia, sorrisi e palline di tennis, con il sopra del costume mezzo sciolto, c'era una sfida. E chi le stava a guardare gli invidiava quel seno, il culo, il sorriso spudorato che diceva : io esisto.
La sabbia nell'acqua bassa si mescolava alle alghe, diventava una polpa. Correvano, la bionda e la mora, nel mare. Si sentivano frugare dagli occhi maschili. Era quello che volevano, essere guardate. Non c'era un perché preciso. Giocavano, si vedeva, ma facevano anche sul serio.
La mora e la bionda. Loro due, sempre e solo loro due. Quando uscivano dall'acqua si tenevano per mano comme i fidanzati. E al bagno del bar entravano insieme. Sfilavano su e giù per la spiaggia, voltandosi prima una poi l'altra quando ricevevano un apprezzamento. Te la facevano pesare, la loro bellezza. La usavano con violenza. E se Anna, ognitanto, ti salutava anche se eri sfigata, Francesca non salutava mai, non sorrideva mai. Tranne ad Anna.
L'estate del 2001, nessuno la può dimenticare . Anche il crollo delle Torri fu, in fondo, per Anna e Francesca, parte dell'orgasmo che provarono nello scoprire che il loro corpo stava cambiando.
Ormai, una sola tapparella era rimasta sollevata. Un solo uomo sudava affaciato al balcone con il binocolo al mano.
Enrico si ostinava a cercare la testa bionda di sua figlia tra le onde, in mezzo ai corpi degli altri adolescenti che giocavano a pallavolo, a calcio, a racchette. In quel garbuglio di braccia, seni e gambe, isolava il busto di Francesca dentro la lente, lo mettava afuoco, ne fissava in uno stato di allerta animale i movimenti a contatto con il mare.
La schiena di Francesca , coperta dai capelli biondi inzuppati d'acqua. Il sedere rotondo : una cosa che non si dovrebbe guardare mai. E invece guardava, Enrico, grondando di sudore. Quel corpo slanciato e perfetto che sua figlia aveva cacciato fuori, di punto in bianco, alla vista di tutti.
p. 85/86
(...)
È pieno di gatti.A questo pensava Alessio.
Nessuno fuori lo sa, ma sotto, in certi capannoni, specialmente alla mense, ci sono communità di gatti enormi, centinaia di gatti. Non hanno mai visto la luce del sole, non hanno idea di cosa sia un filo d'erba. Sono delle specie di mutanti, senza coda, con un occhio solo, tutti uguali. È assurdo.
Questa cosa dei gatti lo aveva sempre colpito. Gli sembrava incredibile che nel ferro, nelle ghisa, potessero vivere i gatti. Che si ammalavano, poveracci. Ce n'erano certi tutti rognosi, senza il pelo, che facevano quasi spavento. A guardarli nel muso, parevano umani . E c'era qualcuno, Alessio compreso, che gli portava anche da mangiare.
A Cristiano invece non gliene fregeva niente : né dei gatti né della Lucchini che vedeva ogni santo giorno. A lui, semplicemente, giravano le palle. La droga comminciava a fare effetto e aveva un solo pensiero in testa : la bionda in perizoma sul cartellone pubblicitario all'entrata di Piombino.
Voleva andare al Gilda stasera. Aveva voglia di concludere subito, all'istante, con la bionda mozzafiatto a pagamento, e non sbattersi dietro a una ragazzina viziata sulla pista del Tartana. Non te la danno, quelle stronze. Se la stratirano, non si lasciano anche baciare. Aveva voglia di toccare un paio di tette enormi. Pagando di più, nel privé, sarebbe andato fino in fondo. E quest'altro qua, 'sto pazzo, chissà a cosa cazzo pensa.
In realtà Alessio stava lottando per non pensare. Ma quella scena maladetta gli ritornava nella testa come un messaggio registrato, riavviato all'infinito.
Quel pomeriggio, verso le quatre, uno di quei gatti del cazzo, uno piccolo, gli era finito sotto il treno siluro, e lui non aveva potuto fare niente. Lo aveva piaccicato in un grumo di sangue e pelo. Era sceso e aveva cominciato a prendere tutto a calci. Sono scemo, pensava adesso, sono un deficiente. Perché poi, giustamente, il caporeparto gli aveva ficcato un pugno in piena faccia.
Sono un cretino continuava a dirsi. Ho perso la testa per un gatto. Ma quel gatto gli ricordava troppo un suo amico, schiacciato sotto un rullo due anni prima. Lui, l'amico sfracellato sotto i suoi occhi, non se lo voleva ricordare. Non voleva ricordare la faccia dell'uomo che era sul treno e non aveva potuto fermarlo.
(...)
p. 233
ch. 25
Piove a dirotto. È un fatto.
Arturo fissa il movimento dei tergicristalli, mozziconi di pensieri gli attraversano il cervello. È uno stato di tensione straordinario, è dentro l'abitacolo dell'auto. Svolta a sinistra, imbocca la statale. Forse è in salvo.
Erano in borghese, hanno spianato le pistole. Arturo guida piano per passare inosservato , sente le schariche di adrenalina lungo braccia e gambe. Gli hanno mandato a monte un affare da cento millioni, forse anche di più, ma non lo hanno beccato.
Adesso succede qualcosa. La macchina davanti frena e inserisce le quatro frecce. Si aggiunge un ulteriore fatto che impone di rallentare e poi fermarsi. Stop. Arturo è fermo. Cos'è, un incidente ? Non ci voleva proprio.
Piove a dirotto da questa notte.
Pioveva prima, sulla banchina del porto all'alba quando è esplosa la retata. E piove adesso. Il traffico è fermo. L'acqua batte sui cofani delle auto in coda. È gente che va a lavorare, gente che suona il clacson perché deve timbrare il cartellino. Sono le otto e mezza del mattino. L'acqua ingorga i tombini. Scivola lungo i piccioli delle foglie, le poche rimaste. Scuote i rami nudi degli alberi a lato della strada.
Arturo non riesce a pensare. Deve decidere dove andare, trovare una sistematisazione, un escamotage – poi, forse, telfonerà a Sandra. Arturo fissa i tergicristalli e pensa che ci sono millioni di fatti nel mondo, collegati fra loro, estranei e conessi. Lui è uno di questi, uno dei tanti. Un fatto vivante e pensante nella catena illimitata e indifferente.
L'acqua scivola lungo i piccioli delle foglie, nelle grondaie dei capannoni sulla statale all'uscita di Piombino. È un attimo perdere il controllo. L 'acqua intasa i tombini e forma pozzanghere sull'asfalto crepato. È un attimo scivolare sul dorso della catena, finire in una costellazione ignota di eventi. Non c'è tempo.
Piove sul motorino rovesciato, e sul corpo di un uomo riverso a terra.
Arturo fissa i tergicristalli, poi getta uno sguardo nello spechietto retrovisore e impallidisce : c'è un' auto della polizia giusto dietro di lui.
Ascende il riscaldamento. I vetri si stanno appanando. Pasquale ... povero cristo. Di sicuro lo staranno portando a Livorno, a sirene spiegate su un' auto della polizia come quella, lo avranno ammanettato... E io per un pelo non ho fatto la stessa fine.
Fissa i tergicristalli da sinistra a destra. Non si sa se è vivo o morto, il corpo disteso a un centinaio di metri sull'asfalto. La gente non sa guidare quando piove, pensa Arturo, la gente viene presa alla sprovista.
Acquaplanning si dice. Si dice che quando perdi il controllo e ti schianti sul guardrail, ti fai male. Ma ci sono migliaia di modi per farsi male. Incidente si dice. Chiamiamo i fatti contro cui ci schiantiamo con questo nome.
Non si capisce se l'uomo disteso fra le lamiere è un cadavere oppure respira.
Piove sui capannoni della Lucchini S.p.A., sulle ciminiere bordate di rosso e sui nastri trasportatori carichi di ghisa. Arturo, fissa il movimento automatico dei tergicristalli, sa che alla sua destra si svolge lo spettacolo dell'industria per ben dieci chilometri quadrati. Ma non lo vuole guardare.
(...)